I suoi dipinti, naif ma dettagliati, crudi eppure terribilmente veri, hanno contribuito a lasciar filtrare nella coscienza del mondo che cosa fosse successo tra il 1975 e il 1979 in Cambogia. Vann Nath era uno dei quattordici sopravvissuti della prigione (o meglio: centro per interrogatori e torture) S-21 a Tuol Sleng, Phnom Penh, e aveva raccontato la sua ordalia attraverso olii che restituivano solo un’infinitesima parte dell’orrore creato da Pol Pot e dai suoi Khmer Rossi.
INCALZARE GLI AGUZZINI Vann Nath, da tempo malato, è morto oggi, aveva 65 anni e portava il ruolo di testimone iscritto nella sua stessa carne. Le immagini che aveva creato, insieme con i resoconti affidati alle sue parole, portavano l’odissea di un popolo massacrato fuori dai grandi disegni della geopolitica e la facevano diventare un’esperienza vicina alla sensibilità anche di chi vi si accostasse senza sapere, senza immaginare, magari anche senza volere. Le responsabilità di pol Pot, quelle delle potenze che lo sostennero – la Cina ma anche gli Stati Uniti, in modi e tempi diversi – nelle sue parole restavano sullo sfondo: contava di più ricordare e cercare di capire. Nel magistrale deocumentario di Rithy Panh su S-21, Vann Nath è lì a incalzare i suoi antichi aguzzini, a chiedere perché, ma senza odio, solo sondando l’abisso di male che fu e che avrebbe voluto irietibile.
PITTORE Era stato un pittore di manifesti per il cinema, poi risucchiato nella paranoica rete di delazioni e arresti dei Khmer Rossi. Si era salvato perché appunto sapeva dipingere e poteva tornare utile per la propaganda, quando alla fine del suo potere Pol Pot decise di abbozzare un inizio di culto della personalità invece di rimanere nascosto dietro la fosca cortina d’invisibilità dell’Angkar, l’Organizzazione. È un paradosso doloroso che Vann Nath sia scomparso proprio mentre sono alla sbarra i quattro leader superstiti dei Khmer rossi – un capo di Stato, Khieu Samphan, due ministri, Ieng Sary e la moglie Ieng Thirith e l’ideologo, il Fratello Numero Due Nuon Chea – ed è in attesa del verdetto d’appello il capo dei torturatori, Duch, condannato l’anmno scorso. Adesso il tribunale misto cambogiano-internazionale per la Cambogia è impantanato in dispute procedurali, si discute se gli imputati siano in grado, per l’età avanzata e le malattie, di sostenere il processo. la morte di Vann Nath, il Testimone per eccellenza, ammonisce tutti: occorre fare presto oppure la giustizia si tramuterà nella sua beffarda parodia.
MEMORIA E GIUSTIZIA Vann Nath aveva scelto di non costituirsi parte civile. Aveva deciso così – ricorda Youk Chhang, direttore del Documentation Center of Cambodia – perché riteneva che il suo dovere fosse di offrire una testimonianza alle generazioni fdi cambogiani dopo la sua, perché imparassero. Questo rifletteva una concezione della giustizia che si concentra sul futuro dell’umanità, piuttosto che su momentanei desideri di rivalsa, vendetta o contrappasso”.
Marco del Corona
Corriere.it del 5.9.2011
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